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Socrate

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juri_92
view post Posted on 14/7/2007, 17:34




Socrate - in lingua greca Σωκράτης (Sōkrátēs) - (470 a.C. – 399 a.C.) è stato un filosofo greco. È uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale. Il contributo più importante al pensiero occidentale è il suo metodo d'indagine, conosciuto come elenchos (confutazione), che applicò prevalentemente all'esame critico di concetti morali fondamentali. Per questo Socrate è riconosciuto come padre fondatore dell'etica o filosofia morale e della filosofia in generale.

È ben noto il fatto che Socrate non ha lasciato alcuno scritto. Il suo pensiero lo ricaviamo dalle opere dei discepoli, tra cui spicca soprattutto Platone e, di seguito, Senofonte. Un'altra testimonianza la troviamo ne Le nuvole, commedia di Aristofane. La mancanza di scritti di parte di Socrate pone notevoli problemi alla possibilità di ricostruire il suo pensiero originale, in particolar modo risulta arduo distinguerlo da quello di Platone.

Si pensa comunemente che il fatto che Socrate non scrisse nulla sia dovuto al suo pensare che la filosofia non possa essere portata avanti da uno scritto, in quanto esso trasmette conoscenza ma non sapienza, e sarebbe quindi stato inutile.

Il motivo per cui Socrate non scrisse nulla si può vedere quindi adombrato nel Fedro platonico, nelle parole che il re egiziano Thamus rivolge a Theuth inventore della scrittura: «Tu offri ai discenti l'apparenza, non la verità della sapienza; perché quand'essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti ignoranti e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza, ma la presunzione della sapienza»




Il pensiero socratico [modifica]
Il metodo socratico dell'elenchos consiste in domande e risposte riguardo le definizioni o logoi (singolare logos), cercando di determinare le caratteristiche generali condivise da varie istanze particolari. Visto che questo metodo è mirato a estrarre le definizioni implicite nelle idee e convinzioni dell'interlocutore, o ad aiutarlo a migliorarne la sua comprensione, fu chiamato metodo della maieutica.

Aristotele attribuì a Socrate la scoperta del metodo della definizione e induzione, che considerava l'essenza del metodo scientifico. Stranamente però, Aristotele affermò pure che tale metodo non fosse adatto all'etica. Socrate applicò il suo metodo all'esame dei concetti morali fondamentali del tempo, come ad esempio le virtù di pietà, saggezza, temperanza, coraggio, e giustizia.

Tale esame sfidò le assunzioni implicite nelle convinzioni morali degli interlocutori, portandone alla luce le contraddizioni e le inadeguatezze, e normalmente generando in loro lo stupore e smarrimento conosciuto come aporia. Riguardo a tali inadeguatezze, Socrate sempre professò la propria ignoranza, mentre altri continuarono a sostenere di essere sapienti. Socrate rispose che, essendo conscio della propria ignoranza, egli era più saggio di coloro che, essendo ignoranti, continuavano a professare la propria sapienza (teoria della dotta ignoranza). La consapevolezza del sapere di non sapere è una coscienza e una verità evidente e innegabile, che dimostra intanto che la verità e la coscienza esistono e sono possibili (essendovene una). Socrate pose il sapere di non sapere a fondamento di qualunque altra verità e conoscenza.


Socrate utilizzò questa dichiarazione come base per le proprie esortazioni morali. Socrate sosteneva che la principale virtù fosse la cura della propria anima tramite verità e conoscenza, che ricchezza non porta virtù, ma virtù porta ricchezza e ogni altra benedizione, sia all'individuo che allo stato e che una vita senza esame non valesse la pena di essere vissuta. Socrate pure sostenne che subire un'ingiustizia è meglio che commetterla.



Il tema della dotta ignoranza [modifica]
Tutto il pensiero socratico nasce dal tema dell'ignoranza. La figura del filosofo secondo Socrate è completamente opposta a quella del saccente.
L'origine della filosofia socratica si può far risalire ad una frase pronunciata dalla Pizia (sacerdotessa dell'oracolo di Delfi): "Socrate è l'uomo più saggio tra tutti". È proprio questa frase che pone Socrate nella situazione di porgersi e porgere agli altri (quelli che pensano di sapere le verità) continue domande sul come e sul perché di tutto (si potrebbe a questo punto paragonare Socrate ad un bambino). E si rese conto che era stato definito il più saggio perché "sapeva di non sapere".



Socrate sosteneva che la causa del male è soltanto l'ignoranza: chi commette il male, se sapesse non lo farebbe. Questo collega l'etica al problema della ricerca della verità: una scienza del bene e del male per eliminare il male ed avere un comportamento perfettamente etico, richiedono prima di dimostrare che esiste la verità, ossia che non si perde tempo a ricercare qualcosa che non esiste, e possibilmente di definire un metodo per trovare qualunque verità, anche non etica. Perciò, non riconosce nel comportamento acivico dei sofisti e di quanti lo condannarono a morte una colpa, ma un'ignoranza di fondo (della propria ignoranza, dell'esistenza) che davanti alle loro coscienze li legittimava ad agire per l'utile, anche uccidendo un uomo.



La definizione di felicità [modifica]
Secondo il filosofo, con una delle definizione più complete di felicità mai date, "quella che sul piano soggettivo è la felicità, sul piano oggettivo coincide con la realizzazione della propria essenza"..., "felicità è fare quello per cui ciascuno di noi è stato programmato di fare". Il concetto è riassunto nella parola greca "aretè" da non tradursi con virtù, ma con essenza, nonostante la riflessione di Socrate è orientata all'etica come priorità del suo tempo: essa è appunto l'idea che ciascuno nasca per fare il filosofo, l'artista, etc. con un'aspirazione che è necessario realizzare. In questo modo la ricerca della verità e il metodo maieutico per raggiungerla restano attuali anche raggiunta una verità etica: anche quando sia stato eliminato il male, vi sarebbe ancora da trovare l'essenza di ciascuno per realizzarne la felicità (in maniera individuale, lasciando l'etica al piano collettivo come farà Epicuro, o sempre attraverso il dialogo, facendo di ogni soggetto un oggetto della ricerca della verità).



Il metodo socratico è un metodo dialettico d’indagine filosofica basato sul dialogo, descritto per la prima volta da Platone nei Dialoghi. Per la sua intrinseca natura è anche chiamato metodo “maieutico”.

Maieutica [modifica]
Il termine maieutica viene dal greco maieutiké (sottinteso: téchne). Letteralmente, sta per "l'arte della levatrice" (o "dell'ostetricia"), ma l'espressione designa il metodo socratico così come è esposto da Platone nel Teeteto. L'arte dialettica, cioè, viene paragonata da Socrate a quella della levatrice: come quest'ultima, il filosofo di Atene intendeva "tirar fuori" all'allievo pensieri assolutamente personali, al contrario di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l'arte della persuasione (Socrate, e attraverso di lui Platone, si riferiscono in questo senso ai Sofisti). Parte integrante di questo metodo è il ricorso a battute brevi e taglienti in opposizione ai lunghi discorsi degli altri - ovvero la brachilogia - e la rinomata ironia socratica.

Nel racconto dello stesso Socrate, l'ispirazione per questo tipo di dialettica derivava proprio dall'esempio che il filosofo aveva tratto da sua madre, la levatrice Fenarete.

Si trovano spunti e rielaborazioni del termine nello stesso Platone, durante tutto il Rinascimento e altrove.

C'è da aggiungere che la maieutica comincia solo dopo le fasi del rapporto maestro-discepolo e dell'ironia. Il rapporto tra adulto e ragazzo (Socrate-discepolo) in Grecia, era una cosa lecita anche dal punto di vista erotico (quello che si ammirava in una persona erano l'intelligenza, la raffinatezza spirituale e non l'aspetto fisico). Socrate però non arrivava all'atto sessuale. Il discepolo a quel punto era libero di scegliere se continuare il rapporto da un punto di vista ideologico oppure andarsene. Continuando questo rapporto subentrava la fase dell'ironia (finzione). Socrate fingeva infatti di abbassarsi al livello culturale del discepolo ponendogli domande e rendendolo partecipe delle proprie. Solo in questo modo e attraverso il dialogo, Socrate riusciva a fare il lavoro della levatrice. Come la levatrice porta alla luce il bambino, Socrate portava alla luce le piccole verità dal discepolo.


Metodo [modifica]
Il metodo socratico, basato su domande e risposte tra Socrate e l’interlocutore di turno, procede per confutazione, ossia per eliminazione successiva delle ipotesi contraddittorie o infondate. Esso consiste nel portare gradualmente alla luce l’infondatezza di tutte quelle convinzioni personali che siamo abituati a considerare come scontate, come vere, e che invece rivelano, ad un attento esame, la loro natura di “opinioni”. Tale metodo è detto “maieutico” (ostetrico) in quanto è fondato non sul tentativo di vincere l’interlocutore con una propria verità,così come facevano i sofisti ma su quello di condurre per mano l’interlocutore con una serie di brevi domande e risposte a portare l'interlocutore a dichiarare la propria ignoranza: a riconoscere,cioè l'impossibilità di avere verità definitive. Aristotele ha attribuito a Socrate la scoperta del concetto e del metodo induttivo, visti come l’essenza del metodo scientifico, sostenendo però al contempo la loro inadeguatezza al trattamento dei problemi dell’etica. In realtà il dialogo socratico ha un profondo valore morale basato sul rispetto dell'interlocutore.


In pratica [modifica]
Il metodo può essere utilizzato da un professore capace per insegnare agli studenti non un certo insieme di nozioni, ma a pensare con la loro testa. Ecco alcuni fondamenti di questo metodo di insegnamento:

L’insegnante e gli allievi devono essere d’accordo sull’argomento da trattare.
Gli studenti devono accettare di rispondere puntualmente alle domande dell’insegnante.
L’insegnante e gli allievi devono convenire sul fatto che il procedimento razionale in questione debba avere almeno la stessa importanza dei fatti veri e propri (da cui il ragionamento prende le mosse, ma nei quali non deve esaurirsi, se il fine è veramente quello di oltrepassare gli angusti limiti dell’opinione per aspirare a delle conclusioni più “generali”).
L’insegnante dovrà mostrare agli allievi la maniera di evitare errori nel ragionamento; soprattutto, dovrà mostrare quanto radicata sia la tendenza a proporre le proprie convinzioni personali come verità ovvie ed immediatamente condivisibili su un piano universale. (Questo richiede ovviamente un grande talento da parte del docente, ed una grande rapidità nel valutare le risposte e nel formulare le domande che siano maggiormente in grado di portare avanti fruttuosamente il dialogo; il che non esclude che egli possa esser ripreso dagli allievi, ove questi individuino errori da parte sua).
 
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