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Guccini

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juri_92
view post Posted on 10/12/2008, 22:09




Francesco Guccini
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Francesco Guccini

Guccini alla fine degli anni settanta

Nazionalità Italia
Genere Musica d'autore
Periodo attività 1960 - in attività
Strumento {{{Strumento}}}
Etichetta {{{Etichetta}}}
Band attuale {{{Band attuale}}}
Band {{{Band precedenti}}}
Album pubblicati 23
Studio 16
Live 6
Raccolte 1
Gruppi e artisti correlati {{{Correlati}}}
Sito ufficiale francescoguccini.it
Si invita a seguire lo schema del Progetto Musica
« Io, giullare da niente, ma indignato,
anch'io qui canto con parola sfinita,
con un ruggito che diventa belato,
ma a te dedico queste parole da poco
che sottendono solo un vizio antico
sperando però che tu non le prenda come un gioco,
tu, ipocrita uditore, mio simile...
mio amico... »
(Francesco Guccini)

Francesco Guccini (Modena, 14 giugno 1940) è un artista italiano, fra i più importanti e noti cantautori[1]. Il suo debutto ufficiale risale al 1967 con l'LP Folk beat n. 1 (ma già nel 1960 aveva scritto L'antisociale); in una carriera ultraquarantennale ha pubblicato oltre venti album di canzoni. È anche scrittore e sporadicamente attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Si occupa inoltre di lessicologia, lessicografia, glottologia, etimologia, dialettologia, traduzione, teatro ed è autore di canzoni per altri interpreti.

Guccini viene ritenuto, insieme a Fabrizio De André, uno degli esponenti di spicco della scuola dei cantautori italiani[2][3] in quanto racchiude in se stesso le principali peculiarità presenti in questo movimento. I testi dei suoi brani vengono spesso assimilati a componimenti poetici, denotando una familiarità con l'uso del verso tale da costituire materia di insegnamento nelle scuole come esempio di poeta contemporaneo.[4] Oltre all'apprezzamento della critica, Guccini riscontra un vasto seguito popolare, venendo considerato da alcuni il cantautore "simbolo", a cavallo di tre generazioni.[5]

Fino alla metà degli anni ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson College, scuola off-campus, a Bologna, dell'Università della Pennsylvania. Ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della Johns Hopkins University (Washington, DC, USA).

Guccini suona la chitarra acustica, e la maggior parte delle musiche da lui composte ha come base questo strumento.[6]

Indice [nascondi]
1 Biografia critica
1.1 L'infanzia (1940-1950)
1.2 L'adolescenza (1950-1959)
1.3 Il periodo giovanile (1960-1966)
1.4 Il debutto (1967-1971)
1.5 Il successo (1972-1980)
1.6 Il secondo periodo (1981-1989)
1.7 Il decennio successivo (1990-1999)
1.8 Il terzo periodo (2000-2008)
2 La poetica
3 Guccini e la politica
4 Libri, saggi e fumetti
4.1 Guccini e i libri
4.2 Guccini e il fumetto
5 Guccini e il cinema
6 Filmografia e bibliografia
7 Riconoscimenti e premi
8 I musicisti
9 Discografia
10 Note
11 Bibliografia
12 Voci correlate
13 Altri progetti
14 Collegamenti esterni



Biografia critica [modifica]

L'infanzia (1940-1950) [modifica]
« Cresciuto tra i saggi ignoranti di montagna,
che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia... »
(da Addio, Stagioni, 2000)

Il cantautore nacque da Ester Prandi e Ferruccio Guccini, una famiglia di origini contadine, al n. 22 di via Domenico Cucchiari, il 14 giugno 1940 a Modena. L'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale, avvenuta appena quattro giorni prima, chiamò suo padre alle armi e costrinse il neonato ad andare a vivere con la madre presso i nonni paterni, a Pàvana, sull'Appennino tosco-emiliano.[6] Gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza trascorsi sulle montagne dell'Appennino ritorneranno più volte nelle sue opere: proprio a questo paese dedicò il primo romanzo Cròniche Epafániche; molte delle sue canzoni, inoltre, hanno attinto da questa ambientazione montanara della quale ha più volte dichiarato di andare molto fiero.[7] Quel forte senso di appartenenza ai luoghi di nascita, che descriverà nel brano Radici,[8] quindi, avrebbe segnato fortemente la sua poetica, tornando spesso nei suoi "ritratti" di vita, come ad esempio Amerigo, che narra la storia di povertà ed emarginazione di un prozio emigrante, vista con gli occhi e la fantasia di Guccini bambino.[9]

Pàvana divenne tuttavia nelle sue stesse parole «il ricordo di un momento forse mai vissuto» [10] quando, alla fine della guerra, tornò nei luoghi nativi lasciati anni addietro[6]. Nel 1945 Guccini tornò dunque con la famiglia a Modena, dove il padre riprese il suo impiego alle Poste.


L'adolescenza (1950-1959) [modifica]
« Piccola città, io ti conosco: nebbia e fumo, non so darvi
il profumo del ricordo che cambia in meglio... »
(da Piccola città Radici, 1972)

A Modena, descritta con una certa amarezza nella canzone Piccola città, Guccini trascorse la sua adolescenza che avrebbe poi raccontato in Vacca d'un cane, suo secondo romanzo. Dopo la scuola dell'obbligo, frequentò l'istituto magistrale nella stessa scuola del tenore Luciano Pavarotti, diplomandosi nel 1958.[11] È un periodo questo che non viene ricordato felicemente: la "fuga" da Pàvana lo mise di fronte alla realtà Modenese, contro la quale si mosse anche nei suoi testi.[12][6] La sua prima esperienza lavorativa fu di istruttore in un collegio a Pesaro, che terminò con un esito fallimentare, venendo licenziato dopo breve tempo. Di altro spessore fu invece la sua esperienza alla Gazzetta di Modena: per due anni ricoprì il ruolo di cronista, un'occupazione a sua detta «massacrante, dodici ore di lavoro al giorno per ventimila lire al mese».[6] In redazione ebbe diverse mansioni, prestando particolare attenzione ad articoli di cronaca giudiziaria. Furono questi anni intensi per la sua formazione culturale e musicale: nacquero in questo contesto le storie delle sue canzoni che guardano alla società e al quotidiano, ad un senso di impotenza verso il destino e alle sue continue domande senza risposta[13], racconti e dubbi per i quali si definì in un verso di Samantha un «burattinaio di parole».[14]

Guccini e il suo amico Cencio, immortalati "una sera di quasi estate"[15]Altri riferimenti di Modena si possono trovare in Cencio (Quello che non, 1990), ove Guccini ricorda con toni nostalgici un amico affetto da nanismo.
Tuttavia, nel 1959 arrivò una svolta: si traferì a Bologna, da egli definita «Parigi minore»,[16] città nella quale Guccini riscoprì quelle affinità umane e culturali mai trovate a Modena. Si iscrisse all'Università, ma abbandonò gli studi a un passo dalla laurea (nel 2002 gliene fu conferita una honoris causa in Scienze della formazione).[17] Fu comunque un'esperienza di «eterno studente», come egli stesso ebbe a dire[18] da cui ricavò nuove ispirazioni per le sue future composizioni.[19]


Il periodo giovanile (1960-1966) [modifica]
Nel luglio 1962 Guccini partì per il servizio militare, che prestò a Lecce, alla Scuola di Fanteria di Cesano di Roma e a Trieste. Come ricordò egli stesso,[20] si trattò di un'esperienza sostanzialmente positiva. Poco prima della partenza aveva scritto alcune canzoni, molte delle quali furono cestinate «un po' per pudore un po' per vergogna», ritenendole null'altro che tentativi.[21] Fra queste vi erano L'antisociale, La ballata degli annegati e Venerdì santo.

Nella sua maturazione musicale e artistica, terminato il servizio di leva, risultarono decisivi degli estenuanti ascolti (le «diete musicali», come le definì,[22]) di artisti che costituirono le sue principali influenze: Sergio Liberovici, Michele Straniero (che lo introdusse nel mondo delle canzoni popolari e anarchiche) ma soprattutto il Cantacronache di Fausto Amodei, da egli più volte citato come suo principale "maestro".[6]

Guccini mosse i suoi primi passi nel mondo della musica non come cantautore, ma come cantante e scrittore di canzoni da balera.[23] Gli esordi artistici lo videro cantante e chitarrista nel gruppo di cui facevano parte Pier Farri (che divenne in seguito il suo produttore) e Victor Sogliani (futuro componente dell'Equipe 84). Si chiamarono Hurricanes, poi Snakers ed infine i Gatti i quali, unitisi ai Giovani Leoni di Maurizio Vandelli, sfociarono nel 1964 nella ben più nota Equipe 84. Guccini rifutò di entrarvi per continuare gli studi, tuttavia la sua evoluzione artistica iniziò proprio da qui: cominciò ad interessarsi al beat e compose canzoni come Auschwitz (che incise aggiungendovi il sottotitolo La canzone del bambino nel vento) e È dall'amore che nasce l'uomo, portate al successo dall'Equipe 84.

Si distinse anche per il lavoro di pubblicitario nell'ambito del Carosello insieme a Guido De Maria, collaborando agli slogan dell'Amarena Fabbri imperniate sui personaggi "Salomone il pirata pacioccone" (che parlava con accento piemontese) e il suo aiutante "Manodifata" (che con accento siciliano, in ogni scenetta, rivolgeva al capo il tormentone: «Capitano, lo posso torturare?» a cui Salomone rispondeva «Porta pazienza!»). Scrisse anche il testo della canzone per bambini Salomone pirata pacioccone, cantata da Le Sorelle, e fece conoscere al grande pubblico, sempre grazie al Carosello, il vignettista Bonvi.

In seguito Guccini avrebbe ricordato questo periodo in Eskimo («...di discussioni, Caroselli, eroi, cos'è rimasto dimmelo un po' tu...»).


Il debutto (1967-1971) [modifica]
Un'immagine di Guccini al Club Tenco con Paolo Conte negli anni settanta « Francesco Guccini è stato il più lucido Poeta della generazione Beat italiana: la struttura musicale del suo primo album riproduce in pieno il modello di Bob Dylan, e le canzoni sono infatti ballate folk dal forte impegno sociale; poetica esistenzialista e visioni apocalittiche costituiscono la struttura prima linguistica e poi musicale del cantautore bolognese... »
(Amedeo Bruccolieri, parlando di Folk beat n. 1)

La prima esperienza del 1967 fu il tentativo, che gli venne proposto dalla CGD, di partecipare al Festival di Sanremo come autore del brano Una storia d'amore; per interpretarlo vennero scelte due cantanti di questa casa discografica, Caterina Caselli e Gigliola Cinquetti ma la canzone non superò le selezioni. Come dichiarò Roberto Vecchioni (che, in quel periodo, era uno degli autori della CGD), la casa discografica gli impose due parolieri professionisti, Daniele Pace e Mario Panzeri per provare a modificare il testo della canzone, un'ingerenza che Guccini tollerò malvolentieri e che lo indusse a rinunciare a ulteriori collaborazioni.[24] La canzone venne comunque incisa dalle due cantanti: da Gigliola Cinquetti nell'album La rosa nera e da Caterina Caselli in Diamoci del tu.

Il primo lavoro della sua carriera di cantautore – Folk beat n. 1 – arrivò qualche mese dopo, nel marzo del 1967. Nel disco, che ebbe un riscontro commerciale molto scarso (sufficiente appena, ricordò egli, a pagarsi gli studi[senza fonte]), si intravedono già dei tratti caratteristici del suo stile artistico e umano, con canzoni dagli arrangiamenti scarni e dai temi dolorosi come morte, suicidio, infimità sociale, Olocausto e guerra (appare anche un originale esperimento di talking blues "all'italiana", stile che avrebbe poi ripreso in un successivo brano inserito in Opera buffa). Tra le canzoni incise ci furono anche alcune di quelle già portate al successo dai Nomadi o dall'Equipe 84, fra cui Auschwitz e In morte di S.F., ridepositata in seguito alla Siae con il titolo mutato in Canzone per un'amica.

Caterina Caselli il 5 maggio 1967, poco dopo l'uscita del disco, lo invitò al programma televisivo Diamoci del tu, presentato insieme a Giorgio Gaber: in quest'occasione, che rappresentò il suo debutto televisivo, cantò Auschwitz; nella stessa puntata, tra l'altro, fu ospite un altro giovane cantautore ancora sconosciuto, Franco Battiato.

Per la Caselli in quel periodo scrisse molti brani, tra cui Le biciclette bianche, Incubo N° 4, canzone inserita nel musicarello L'immensità (La ragazza del Paip's), Una storia d'amore e Cima Vallona (ispirata alla strage di Cima Vallona); si fece inoltre notare per la traduzione (che però non firmò) di Bang Bang (My Baby Shot Me Down) di Sonny Bono e Cher, cantata sempre dall'Equipe 84. Furono tuttavia I Nomadi (che già nel 1966 avevano inciso una sua canzone, Noi non ci saremo), a portare al successo nello stesso anno quella che divenne una delle più importanti canzoni della storia della musica italiana: Dio è morto (fu pubblicata in contemporanea anche da Caterina Caselli, con delle differenze nel testo). Fu un brano che lasciò il segno, con un testo "generazionale" che per l'universalità del suo contenuto superò ogni confinamento ideologico venendo elogiata addirittura da Papa Paolo VI (fu trasmessa da Radio Vaticana,[25] ma censurata dalla RAI per blasfemia).

L'anno successivo Guccini ritornò in sala di incisione, pubblicando un 45 giri con Un altro giorno è andato/Il bello: la prima, una delle sue canzoni ritenute tra le più caratteristiche, venne reincisa in versione acustica e con alcune piccole modifiche nel testo nel 1970 ed inserita in L'isola non trovata; la seconda invece fu riproposta dal vivo in Opera buffa, dopo essere stata reinterpretata nello stesso anno da Lando Buzzanca; nel frattempo Guccini continuò l'attività di autore, continuando a comporre brani per I Nomadi, Bobby Solo, Caterina Caselli e altri artisti. Il 1969 fu inoltre l'anno del suo debutto ufficiale dal vivo, con un concerto tenuto alla Cittadella di Assisi, un centro culturale cattolico di tendenza progressista.

Nel 1970 fu la volta di Due anni dopo (registrato nell'autunno del 1969), album dai toni inquieti ed esistenziali, che lasciò da parte le tematiche della protesta (eccetto per Primavera di Praga) per dedicarsi all'introspezione. A conferma di questo Guccini stesso ribadì come le sue canzoni nascessero da «un' esigenza di necessità creativa, esistenziale», e non per un fatto professionale. L'album fu accostato, per le tematiche e i vocaboli alla poetica leopardiana,[13] mostrando un artista ancora giovanile ma già più maturo del precedente. Il centro narrativo del disco, dalla percepibile influenza francese,[13] è il tempo che passa e la vita quotidiana analizzata nella dimensione dell'ipocrisia borghese.[6]

Subito dopo l'uscita di Due anni dopo, Guccini lasciò in Italia, ma senza rinunciarci, la sua fidanzata Roberta (per cui aveva scritto Vedi cara) e partì per gli USA insieme a Eloise Dunn, una ragazza conosciuta al Dickinson College di Bologna dove insegnava (alla quale anni dopo dedicò la canzone 100 Pennsylvania Ave). Conclusasi anche questa relazione, tornò in Italia con la barba, che da questo momento non si tagliò più.[26] Si riconciliò con Roberta e vi andò in vacanza all'isola di Santorini: è in quest'occasione che venne scattata la fotografia presente sul retro di Stanze di vita quotidiana, usata poi sia per la copertina di Via Paolo Fabbri 43 sia, ancora oggi, per i manifesti pubblicitari dei suoi concerti.

Bologna: nella casa di Guccini.In autunno iniziò le registrazioni di un nuovo disco, e così a undici mesi da Due anni dopo fu pubblicato L'isola non trovata. Il titolo dell'album, che è anche quello di una canzone, è un riferimento a Guido Gozzano e alla morte dell'utopia, vista ormai come irraggiungibile; altra citazione letteraria presente nel disco fu quella di J.D. Salinger in La collina.[27] Altri brani di rilievo del disco furono Un altro giorno è andato (reincisa dopo due anni), L'uomo o L'orizzonte di K.D. (che è Karin Donne, la sorella di Eloise).

La notorietà di Guccini iniziò a diffondersi anche al di fuori di Bologna, passando dalle osterie al teatro: fu di questo periodo la sua partecipazione al programma televisivo Speciale tre milioni, dove presentò alcune sue canzoni (tra cui La tua libertà, all'epoca inedita, incisa nel 1971 ma pubblicata soltanto nel 2004 come bonus track dell'album Ritratti), e dove divenne amico di Claudio Baglioni.[28] Nel 1971, dopo alcuni mesi di convivenza, sposò la sua storica fidanzata, Roberta (raffigurata sul retro di copertina dell'album successivo e alla quale dedicò la canzone Eskimo).


Il successo (1972-1980) [modifica]
Il vero salto artistico e qualitativo si ebbe nel 1972 con Radici, che contiene alcune delle sue canzoni più conosciute, innanzitutto La locomotiva, canzone tratta da una vicenda reale,[29] in cui Guccini affronta il tema dell'uguaglianza, della giustizia sociale e della libertà.[13] Il filo conduttore dell'album, come suggerisce il titolo, è l'eterna ricerca delle proprie radici, testimoni della continuità della vita.[30] La critica lo definì «un Guccini contemplativo e onirico»:[13] canzoni come Incontro, Piccola Città, Il vecchio e il bambino, La Canzone della bambina portoghese e Canzone dei dodici mesi sono i brani di maggior rilievo di un lavoro che viene ritenuto tra le sue vette artistiche.

Nel 1973 fu la volta di Opera buffa, disco registrato all'Osteria delle dame di Bologna e al Folkstudio di Roma, goliardico e spensierato, che mette in luce le sue qualità di cabarettista, ironico e teatrale, colto e canzonatorio.[13]
L'idea di incidere canzoni dal vivo di questo genere in realtà non fu mai accettata di buon grado da Guccini, il quale ebbe perplessità sulla pubblicazione di questo disco e sul brano I Fichi, contenuto nell'album D'amore di morte e di altre sciocchezze.[31] Nonostante ciò il disco live (con sovraincisioni realizzate in studio) è una testimonianza indicativa del modo in cui Guccini ha sempre affrontato i concerti nel corso della sua carriera. Il suo tipico modo di fare cabaret si rinnova sempre nei suoi spettacoli, che diventano delle vere e proprie esibizioni teatrali in cui il protagonista dialoga e si confronta con il pubblico di tutte le età. Questa sua vena cabarettistica è resa evidente in numerose canzoni, come L'avvelenata, Addio, Cirano, Il sociale e l'antisociale etc..

Seguì l'anno successivo Stanze di vita quotidiana, un album controverso, che riscontrò pareri contrastanti di pubblico e critica.
Il critico letterario Paolo Jachia affermò: «Stanze è l'album meno capito di Guccini, forse addirittura troppo raffinato ed esistenziale».[13] Il disco, composto da sei lunghi brani malinconici e struggenti, rispecchiò il periodo di crisi profonda che Guccini stava vivendo, aggravata dai continui dissidi con il produttore Pier Farri e ricevette delle critiche impietose: si ricorda soprattutto una dura catilinaria del critico Riccardo Bertoncelli, che senza mezzi termini bollò il cantautore come «un artista finito, a cui non resta più nulla da dire».[32] Guccini gli rispose in rima qualche anno dopo.[33] Solo a distanza di molti anni fu riconosciuto il valore artistico di questo disco. A testimonianza, il testo di Canzone per Piero fu inserita tra le fonti della prima prova dell'esame di Stato del 2004.[4] Il "tema del saggio" era l'amicizia e Francesco Guccini, a tal proposito, si disse fiero di figurare in mezzo a Dante e Raffaello. Parlando del testo della canzone, si evidenzia come la sua fonte (conscia o inconscia) sia il dialogo di Plotino e Porfirio contenuto delle Operette morali di Giacomo Leopardi. Nel resto del disco lasciarono il segno i vocaboli leopardiani, i temi della quotidianità, le decrepite maschere borghesi che fanno da specchio alla società ritratta con crudezza.

Via Paolo Fabbri 43, a BolognaIl successo commerciale di Guccini arrivò nel 1976. È l'anno di Via Paolo Fabbri 43, album che sarebbe poi risultato tra i cinque più venduti dell'anno. La voce si fece più matura, decisa e sicura di sé e la struttura musicale dell'LP più complessa dei precedenti, con arrangiamenti che strizzavano l'occhio al jazz. Come risposta alle critiche indirizzate a Stanze di vita quotidiana scrisse L'avvelenata, un brano che evidenzia un Guccini rabbioso e deciso a rispondere "vivacemente" a chi lo aveva aspramente criticato.

Altra canzone rappresentativa fu quella che diede il titolo al disco. Via Paolo Fabbri 43 è un'astratta descrizione della vita di Guccini nella sua residenza di Bologna, con gli abituali riferimenti ad artisti a lui cari, come Borges e Barthes e una citazione delle "tre eroine della canzone italiana", Alice, Marinella e la «piccola infelice Lilly», una frecciatina amichevole rivolta a De André e una più pesante rivolta De Gregori, e Venditti;[6] questa, assieme a sua detta a L'avvelenata e Il pensionato è una delle canzoni a cui Guccini è più legato.[34] Non mancano nel disco momenti di lirismo: Canzone quasi d'Amore dalla poetica esistenziale[13] è ritenuta da molti un esempio delle vette raggiungibili dal "Guccini poeta". Il suo tratto da cantastorie[13] sarebbe tornato anche ne Il pensionato, ballata che narra di un suo anziano vicino, ma che sarebbe sfociata tra i versi in un excursus sulla triste situazione degli anziani nella società moderna.[35] L'album successivo, pubblicato due anni dopo, fu Amerigo (1978), la cui canzone più famosa è certamente Eskimo,[13] «canzone dedicata ad un non più amore, storia di una sconfitta o di una maturazione forse mai raggiunta, il cui tono complessivo oscilla tra nostalgia e autoironia».[13] Tuttavia, Guccini stesso intravide il momento più riuscito proprio nel brano che dà il titolo al disco: una ballata dedicata ad uno zio emigrante a lui caro.

Il 6 ottobre 1977 la rivista settimanale Grand Hotel gli dedicò una copertina dal titolo: Il padre che tutti i giovanissimi avrebbero voluto avere; in realtà l'iniziativa avvenne a sua insaputa, come raccontò il vicedirettore del settimanale: «Guccini non sapeva della copertina; l'intervista è stata fatta da un collaboratore che non gli aveva detto che sarebbe finita sul nostro settimanale, ma non penso che per questo Guccini sia andato in bestia»;[36]

Guccini non fu entusiasta dell'iniziativa, e dichiarò: «Non capisco come gli sia venuto in mente, quel titolo, io scrivo canzoni per un pubblico di trentenni, non capisco come un pubblico di sedicenni appena usciti dal liceo possa trovare delle affinità con le cose che dico».[37] Sempre a questo proposito, si ricorda un episodio divertente: durante un concerto tenuto qualche giorno dopo la pubblicazione dell'articolo, alcuni spettatori delusi iniziarono a schernirlo per essere finito su una rivista femminile, ma Guccini non si scompose e ribatté: «Questo è niente, vedrete quando scriveranno "Liz Taylor grida a Guccini: rendimi il mio figlio segreto"!»[38]

Nel frattempo, nello stesso anno, si separò dalla moglie Roberta (scrivendo sulla vicenda la canzone Eskimo) e iniziò una convivenza con Angela, con cui, nel 1978, ebbe una bambina, Teresa (a cui anni dopo avrebbe dedicato le canzoni Culodritto, ed E un giorno...). Guccini salutò gli anni settanta con Album concerto, registrato da vivo con i Nomadi. La particolarità di questa raccolta fu l'interpretazione a due voci con Augusto Daolio e la presenza nel disco di canzoni da lui scritte ma mai incise in precedenza: Noi, Per fare un uomo e soprattutto Dio è morto.


Il secondo periodo (1981-1989) [modifica]
« Guccini è un cantautore di vaste pianure »
(Umberto Eco[13])

Il secondo periodo della carriera di Guccini si distinse integralmente dalla sua precedente produzione. I suoi toni si fecero più artistici, i temi più ricercati e vasti;[39] divenne più intimista, più introspettivo, più fine e ambizioso.[13] La sua prosa si fece più pensata, il piano interpretativo più astratto, senza che per questo si distaccasse dalle problematiche dell'uomo: cercava di affrontare gli stessi temi ma da punti di vista diversi. Guccini aprì gli anni ottanta con Metropolis, che testimoniava il deciso cambio di tematiche, e che – nonostante, al pari di Stanze di vita quotidiana, sia l'album a cui è meno legato[40] –, spicca da vari punti di vista. Il filo conduttore della raccolta è la descrizione di alcune città dal preciso valore simbolico: Bisanzio, Venezia, Bologna e Milano.

Ormai da anni Guccini vive stabilmente a Pàvana (Pistoia) e solo saltuariamente si reca a Modena o Bologna dove, comunque, possiede casa.La storia delle città e, soprattutto, il disagio della vita nella polis[41] e la dispersione della civiltà urbanizzata si intrecciano in un gioco di vicende storiche e di rimandi dal significato simbolico. Gli arrangiamenti si fecero più corposi, ormai distanti dagli stereotipi folk; compaiono infatti incroci di sax e chitarra, basso e batteria, zufoli, clarinetti, flauti. Torna il tema del viaggio o meglio ciò che egli definisce «l'impossibilità e l'inutilità di viaggiare». Per la prima volta (ad anni di distanza dall'ultima collaborazione esterna) Guccini scrisse una canzone a quattro mani con Giampiero Alloisio (riprendendo Venezia, scritta da Biggi e Alloisio e già incisa dall'Assemblea musicale teatrale, con alcune piccole modifiche al testo). Spicca, fra i brani del disco, Bisanzio, composizione che Jachia definì «commovente e sognante», la cui epicità, continua, «complessivamente ribadisce la ricerca gucciniana di una verità ulteriore non percepibile in un pensiero dogmatico e arrogante».[13]

Bisanzio venne rappresentata da Guccini come un incantevole ma angosciante e viadotto geopolitico e temporale al limite tra due continenti e due ere, con toni talvolta apocalittici.[42] Il protagonista stesso, tale Filemazio (in cui molti scorgono lo stesso Guccini[13]), percepisce la decadenza della sua civiltà, in un parallelo con quella occidentale, e l'avvicinarsi della fine. Nonostante la sua cultura, egli non sa più leggere il futuro, trovandosi di fronte all'impossibilità di capire e si lascia trascinare dallo scorrere nichilistico degli eventi. La canzone è ambientata all'epoca dell'imperatore Giustiniano I (483-565), con molti riferimenti storici a quel periodo,[43] che Guccini stesso ha spiegato più volte.[44] Altri brani degni di nota nel disco furono la poetica Venezia e Bologna, colta ballata dedicata ad «un amore passato», quella «Parigi minore, volgare e matrona».

« ... di tutte le sue vite vagabondate al sole
restavan vuoti gusci di parole ... »
(da Gulliver, Guccini, 1983)

Anche il successivo disco (Guccini) trattò le stesse tematiche del precedente, soprattutto il tema del viaggio e del disagio metropolitano rappresentati in Gulliver e in Argentina. Un brano «classico» di Guccini divenne Autogrill, canzone metafisica che narra di un amore solo sfiorato. Ricercata e particolare risultò essere Shomèr ma mi llailah? tratta dalla Bibbia (Isaia 21, 11), una delle tipiche riflessioni esistenziali di Guccini, sull'impossibilità dell'uomo di avere delle risposte, ma sulla necessità e l'esigenza di farsi infinite domande, per non far esaurire «quella ricerca esistenziale che ci rende umani». Il tour che seguì questo disco fu il primo in cui si esibì con un gruppo: fino ad allora, o suonava da solo o si faceva accompagnare da uno o due chitarristi (all'inizio dalla Koopermann, poi da Biondini e infine da Villotti e Biondini).

Seguì, nel 1984, l'album Fra la via Emilia e il West. Molti dei suoi successi sono qui presentati dal vivo, principalmente da un concerto in piazza Maggiore a Bologna dove Guccini era accompagnato, oltre che dalla band, da ospiti illustri come Giorgio Gaber, I Nomadi, Roberto Vecchioni e l'Equipe 84, riformatasi per l'occasione.

Il 1987 fu l'anno di Signora Bovary, un album di stampo intimista, dove le varie canzoni sono dei ritratti di personaggi della vita di Guccini. Van Loon è suo padre, Culodritto è la giovane figlia Teresa (nata nel 1978), Signora Bovary è lui stesso. La canzone Keaton era stata scritta dall'amico cantautore Claudio Lolli, con delle modifiche di Guccini, che la firmò come coautore. Il disco segnò un importante cambio di rotta, soprattutto per quel che riguarda la composizione musicale. È un lavoro elegante fin dalla copertina, su cui è raffigurato un velluto rosso; le musiche si fanno più raffinate, le melodie più complesse e gli arrangiamenti vengono curati con grande attenzione.[45] Colpisce su tutte Scirocco, canzone, tra l'altro, che ha ricevuto vari riconoscimenti; racconta un episodio della vita di Adriano Spatola, detto Baudelaire (poeta amico di Guccini, che lo aveva già citato in Bologna), e della sua separazione da Giulia Niccolai.

Guccini e il vino, da sempre suo compagno di concerti.Nel 1988 Guccini pubblicò un disco di sue canzoni degli anni sessanta riarrangiate per l'occasione con l'aggiunta dell'inedito Ti ricordi quei giorni. Nel titolo cita il romanzo Vent'anni dopo. Quasi come Dumas, questo il titolo, fu registrato dal vivo, nel 1988, al Palatrussardi di Milano, al Palasport di Pordenone e al Teatro dell'Istituto Culturale dell'Ambasciata d'Italia a Praga.


Il decennio successivo (1990-1999) [modifica]
Quello che non (1990) è un album all'insegna della continuità poetica e musicale con il precedente. Un Guccini oramai maturo interpreta una raccolta di canzoni di valore fra cui Quello che non, la composizione più orecchiabile, di stampo montaliano, musicalmente corposa nel descrivere, nelle sue parole, «la cronaca di un amore che non esiste più, è sparito dissolvendosi nel nulla. Una canzone estrema, una serie di impressioni di periferia».[13] Altro brano di pregio del disco è La canzone delle domande consuete il cui valore poetico e letterario fu ulteriormente confermato dal premio di "miglior canzone dell'anno" dal Club Tenco. Come ebbe lui stesso a dire, il brano racconta di un uomo che si è fatto mille domande e continua a farsene, senza aver mai trovato delle risposte, senza aver risolto nulla. Le domande sono continue perché non si è raggiunta alcuna certezza, perché gli amori non sono affatto sereni o tranquilli.[46]

Tra le altre canzoni del disco sono da citare Cencio e Le ragazze della notte, dai «colori cupi e dalle tinte forti», intrisa del senso di decadenza: il trucco e le toilette che «si spampanano piano», il ghiaccio che si scioglie, «vetri affumicati, bar zuppi di alcoolici e fiati», chiudendo con una domanda simbolica: «chi sono le ragazze della notte?».

Tre anni dopo (1993) fu la volta di Parnassius Guccinii (dal nome dell'omonima farfalla dedicata al cantante emiliano) dove spicca Samantha, storia di un amore non realizzato a causa delle convenzioni sociali e della decadenza della periferia di Milano, e Farewell, ballata dal sapore dylaniano,[47] dai vaghi echi leopardiani. Come afferma Jachia, «lo sforzo gigantesco, poetico e culturale, di Guccini è stato quello di aprire la più alta tradizione della poesia italiana alla ballata di derivazione dylaniana».[13] Della raccolta facevano parte anche Canzone per Silvia, scritta per Silvia Baraldini, Nostra signora dell'ipocrisia, esplicitamente dedicata a Silvio Berlusconi, e Acque, seconda canzone su commissione di Guccini (dopo Nené del 1977), richiesta da Tiziano Sclavi ed inserita nel film Nero.

Tre anni dopo (1996) fu il turno di D'amore di morte e di altre sciocchezze, altro successo di vendite. Intensi e lirici sono i versi di Lettera dedicata a due amici scomparsi: Bonvi e Victor Sogliani. Il tormentone del disco sarebbe divenuto Cirano (scritta da Giancarlo Bigazzi insieme Beppe Dati e modificata da Guccini per renderla "sua"), liberamente ispirata alla nota opera teatrale, una canzone che lo stesso Guccini definisce di «serietà giullaresca»:[13]una nuova invettiva politica diluita e velata dalla tematica amorosa che diviene dominante sul finale della canzone. Tra le altre si ricordano la goliardica I Fichi (in realtà già presentata in televisione quasi vent'anni prima, nella trasmissione Onda libera su Raidue, condotta da Roberto Benigni); Vorrei, dedicata alla nuova compagna Raffaella; Quattro stracci, che narra dell'amore finito per Angela, ma in maniera molto più dura rispetto a Farewell del disco precedente. La componente prettamente onirica è rappresentata da Stelle, dove Guccini percepisce il mistero della vita, testimoniato dalla piccolezza dell'Uomo davanti all'immensità della volta celeste.

Nel 1998 la sua casa discografica, la EMI Italiana, per celebrare il suo trentennale, pubblicò una serie di dischi dal vivo dei suoi artisti più rappresentativi, fra cui Guccini live collection. Il cantautore diede il benestare alla pubblicazione ma non venne coinvolto nel progetto e si lamentò molto per un vistoso errore ortografico sulla copertina.[13][48]


Il terzo periodo (2000-2008) [modifica]
Guccini possiede una voce fonda e baritonale con un percepibile rotacismo (la "erre arrotata" caratteristica del dialetto dei suoi luoghi nativi).[49] « Scrutiamo le case abbandonate chiedendoci che vite le abitava, perché la nostra è sufficiente appena,
ne mescoliamo inconsciamente il senso;
siamo gli attori ingenui sulla scena di un palcoscenico misterioso e immenso »
(da Vite, Ritratti, 2004.)

Il cantautore inaugurò il ventunesimo secolo con Stagioni, album che, come il titolo stesso suggerisce, parla dei cicli temporali che attraversano lo scorrere degli anni. Tra i brani: Autunno emerge per la musicalità dei versi e per la sentita interpretazione; Ho ancora la forza (scritta con Ligabue) è una dichiarazione di vigore e coerenza di impatto; Don Chisciotte è il Guccini letterario che duetta con il suo chitarrista dando vita ad una energica ballata che fa eco a Cirano; E un giorno è un dialogo con la figlia Teresa, intenta ad affrontare i problemi della vita; e Addio è una nuova Avvelenata ma con gli echi della maturità e dell'universalità del messaggio.[50] Anche Stagioni e il rispettivo tour ebbero un ottimo successo; in parte inattesa fu soprattutto la grande affluenza di un pubblico molto giovane, che consacrò Guccini come un "artista di riferimento" di tre generazioni.[51] Si ricordano soprattutto le parole di Cerami che si diceva «stupito, quasi incredulo, e soprattutto felicissimo di vedere migliaia di ragazzini ai suoi concerti[52] Il disco uscì anche su vinile, in un'edizione speciale a tiratura limitata.

Alcuni brani del disco successivo, Ritratti (2004), sono caratterizzati da dialoghi immaginari con personaggi storici come Ulisse, Cristoforo Colombo, Che Guevara, che sembrano rivivere dentro di lui velati da un vago ermetismo. Odysseus che apre il disco ha un testo ritenuto da alcuni tra i migliori della sua carriera,[53]con versi profondi e vivaci che richiamano la sensazione del viaggio insieme a Ulisse, ripercorrendone il suo cammino. La musica, di stampo mediterraneo, sottolinea la pindarica danza dei versi.[54] Le assonanze, le cadenze scandite, le citazioni dotte si susseguono lungo tutto il testo che si chiude con Ulisse che percepisce la sua "immortalità".[55]

L'album continua, passando da una meta-canzone,[56] fino alla ballata per il Che. Da citare la traduzione dal catalano al modenese de la Ziatta e una canzone dedicata a Carlo Giuliani, il ragazzo deceduto nel 2001 negli scontri del G8 di Genova. L'inedito inserito nel disco (La tua Libertà, 1971) rievoca le atmosfere de L'isola non trovata, mentre il brano Vite, ballata esistenziale tipicamente gucciniana, era da lui già stata composta per poi essere incisa da Adriano Celentano con alcuni tagli atti a ridurne la lunghezza.[57] Ritratti ha fatto rilevare, oltre all'apprezzamento della critica musicale, anche un buon successo di vendite: il CD nel giorno di lancio, balzò subito per due settimane al primo posto della classifica FIMI, rimanendovi in totale diciotto settimane.[58] [59][60] Nel 2005 uscì il disco dal vivo Anfiteatro Live, registrato l'anno precedente nell'anfiteatro di Cagliari. Il doppio CD è accompagnato anche da un DVD che ripropone integralmente il medesimo concerto. Le vendite furono ottime: il DVD restò nella classifica ufficiale FIMI per ventidue settimane, al primo posto per un mese.[61]

Guccini in concerto al Palaghiaccio di Marino, marzo 2003.
Da sinistra: "Flaco" Biondini (alla chitarra), Roberto Manuzzi (alle tastiere), Francesco Guccini, Ellade Bandini (alla batteria), Vince Tempera (alle tastiere), Ares Tavolazzi (al basso), Antonio Marangolo (al sax).Il 2006 fu un anno dove si parlò molto di Guccini, e non solo per la sua attività artistica: ricevette infatti un voto in occasione dell'elezione del Presidente della Repubblica Italiana.[62] Fu pubblicata la raccolta tripla celebrativa dei suoi 40 anni di carriera, rappresentata da 47 canzoni presenti nella sua The Platinum Collection. Nel luglio successivo la EMI France pubblicò La Giungla, un brano singolo che tratta del rapimento di Ingrid Betancourt. Sempre nel 2006 presentò la Compagnia Teatrale Pavanese impegnata nella Aulularia di Plauto, da lui tradotta dal latino nel dialetto del suo paese.[63]

Nel tour del 2007 Guccini ha presentato una nuova canzone sulla resistenza (Su in collina), che verrà presumibilmente inserita nel prossimo album, attualmente in lavorazione.[64] Parlando del disco, Guccini ha rivelato di aver già scritto una canzone dedicata a Pàvana (Canzone di Notte n. 4) e "Il testamento di un pagliaccio" che narra del testamento di un Clown giunto alla sua fine.[65] Quest'ultima composizione è stata eseguita per la prima volta a Porretta il 20 giugno 2008 nella data zero del nuovo tour. Il 30 marzo 2007 ha ricevuto a Catanzaro il "Riccio d'Argento" della rassegna Fatti di musica diretta dal promoter musicale Ruggero Pegna, riservato ai più grandi autori italiani. Inoltre, Guccini ha recentemente dichiarato che sta preparando un nuovo romanzo con Machiavelli mentre a Maggio 2008 ha pubblicato un nuovo libro (edito Mondadori):una raccolta di "racconti esotici" basati sui suoi viaggi in giro per il mondo, riuniti in un unico libro "Icaro" (che prende il nome da uno dei sette racconti presenti nell'opera).[66] Mentre ad Ottobre 2007 uscì in libreria la nuova versione aggiornata dell'autobiografia ufficiale di Guccini raccolta da Massimo Cotto, Portavo allora un eskimo innocente, Giunti Editore.


La poetica [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Poetica di Francesco Guccini.
« Lei, Guccini, canta l'etica con parole estetiche »
(Ezio Raimondi, italianista e critico letterario)
Guccini si racconta; il cantautore è solito intrattenersi con il pubblico durante i suoi spettacoli.La poetica del cantautore Modenese, apprezzata al giorno d'oggi da più voci e da celebri autori letterari,[67] è estesa in una vastissima carriera musicale, entro il quale si possono individuare però delle caratteristiche comuni. Guccini è solito utilizzare diversi registri linguistici, da quello aulico a quello popolare; nei suoi testi si possono trovare citazioni di grandi autori, viene toccata un enorme quantità di temi per giungere a delle conclusioni morali.[68]
Leggendo tra i suoi testi è possibile tracciare le basi del suo pensiero: l'uso di differenti piani di lettura, il suo esistenzialismo, il tono metafisico, i suoi ritratti di personaggi ed eventi.

« Quella di Guccini è la voce di quello che un tempo si diceva il "movimento". Oggi, semplicemente una voce di gioventù. E cioè di granitica coerenza con il proprio linguaggio e pensiero. Nella sua opera c'è un discorso interminabile: sull'ironia, sull'amicizia, sulla solidarietà. »
(Dario Fo, Premio Nobel per la letteratura 1997, Archivi Rai)


Guccini e la politica [modifica]
Guccini è considerato il cantautore più politicizzato tra quelli della grande tradizione italiana.[69] Nonostante la sua risaputa vicinanza alla sinistra italiana, questa politicizzazione ha avuto spesso effetti di strumentalizzazione.[70] Se è vero infatti che alcune sue composizioni sono socialmente impegnate, è altrettanto vero che la gran parte dei suoi successi derivano dall'elevato valore artistico e letterario che i suoi brani dimostrano.[71]

Non a caso Guccini – che probabilmente viene ritenuto molto politicizzato soprattutto a causa dall'enorme successo de La locomotiva, una ballata divenuta un simbolo della sinistra italiana – ha sempre rifiutato gli incarichi politici o amministrativi che gli sono stati spesso proposti, come ha dichiarato in una intervista.[senza fonte]

Tuttavia un personaggio come Guccini non è inscrivibile in un determinato quadro politico istituzionale; lui infatti (come l'amico Fabrizio De André) si definisce anarchico[72][73], ma anche socialista e comunque dice di aver sempre votato Pci, Pds e Ds[74]

In realtà ha spesso espresso le sue posizioni, rivolte verso l'area moderata del centrosinistra; ad esempio, ecco quello che ha dichiarato in un'intervista: «Ripeterebbe ancora quel «resistere, resistere, resistere» rivolto mesi fa a Prodi?[75] «Certo: piuttosto che niente è meglio il piuttosto. Non esistono alternative, se non peggiori». Come vede il Partito democratico? «Lo vedrei bene, se mai si facesse. Comunque, voto Ds». Ha mai votato Pci? «No, prima di Craxi votavo Psi. Non sono mai stato estremista, anche adesso non amo la sinistra radicale, quella che mette i bastoni tra le ruote al premier».[76]


Libri, saggi e fumetti [modifica]

Guccini e i libri [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Cròniche Epafániche.
Autografo di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, rilasciato nel 1997 al muretto di Alassio.Nella sua attività quasi ventennale di scrittore ha pubblicato diversi libri; ha collaborato alla stesura, assieme ad altri autori, di scritti di saggistica e narrativa, interessandosi a svariate tematiche, fra cui quelle relative ai diritti civili (occupandosi del caso di Silvia Baraldini[77]) e all'arte del fumetto, firmando la sceneggiatura di Storie Dello Spazio Profondo,[78] disegnate dall'amico Bonvi, pubblicate a partire dal 1969 sulla rivista Psyco e in seguito ristampate dalla Mondadori e da altri editori. Guccini si è prestato con buoni riscontri allo "scibile cartaceo" in tutte le sue forme, con degli interessanti excursus nel genere Noir (con Loriano Macchiavelli ha creato il personaggio del maresciallo Benedetto Santovito), oltre a una trilogia di scritti autobiografici, ove spiccano le sue capacità di etimologo, glottologo e lessicografo.[79]

Croniche Epafaniche, pubblicata da Feltrinelli nel 1989, è stata una delle sue opere più importanti. Il romanzo, pur non essendo una biografia dell'autore, diventa autobiografico per la tendenza di Guccini a volersi riappropriare le sue radici. Caratterizzato da un buon successo di critica e di vendite,[79] il romanzo è ambientato in montagna e riprende una cultura di contadini ormai in via di sparizione.

Sono stati dei best seller anche i suoi due romanzi successivi, Vacca d'un cane e Cittanova blues, entrambi riguardanti i diversi periodi della sua esistenza.

Se infatti Croniche Epafaniche racconta l'infanzia di Guccini, il periodo bucolico e lo «stupore degli anni puri», l'utopia della bella Pavàna alienata da qualunque contesto cronotopico, lontana dalle realtà infernali della seconda guerra mondiale, Vacca d'un cane narra del periodo successivo, quello in cui un Guccini adolescente ormai stabilmente a Modena (città da lui mai veramente amata) scoprì di non essere "uno tra tanti", ma contemporaneamente diventò cosciente di come la provincialità della sua città natale massacrata dalla guerra, sarebbe stata un ostacolo per la sua crescita intellettuale. Infatti si trasferì presto a Bologna, che rappresentò la scoperta del mondo, l'illusoria utopia, il sogno americano. Ed è quest'ultimo capitolo che è narrato nelle vicende di Cittanòva Blues, che va a chiudere la trilogia autobiografica.

« Non sono libri facili, i romanzi di Guccini, anche se, naturalmente, essendo libri profondamente legati al suo modo di raccontare, al suo mondo poetico, anche di primo acchito sono pur sempre libri appassionanti non solo perché imprevedibili nelle soluzioni linguistiche e stilistiche, ma più ancora perché questi romanzi sono profondamente legati tematicamente al nostro passato prossimo di ex contadini e miserabili neo-urbani, legati dunque al tempo antico, e in qualche modo fiabesco, dei nostri genitori e più ancora dei nostri nonni... »
(Paolo Jachia[13] )

Nel 1998 Guccini pubblica il Dizionario del dialetto di Pàvana, la città della sua infanzia, nel quale si può notare tutta la sua capacità di dialettologo e traduttore.

Diverse altre opere sono successivamente venute alla luce in collaborazione con Machiavelli. I gialli scritti con lui a quattro mani narrano principalmente delle storie del maresciallo Santovito, diventato un personaggio di punta del giallo italiano, e acquistano dall'affermato giallista i toni classici di questo tipo di opera. L'influenza di Guccini si nota invece per quanto riguarda la forma della narrazione, la capacità di creare una raffinata costruzione nell'ambientazione storica, le peculiarità linguistiche che ne hanno decretato il successo anche nel mondo della narrativa.[17]


Guccini e il fumetto [modifica]
Guccini è sempre stato un amante dei fumetti, come testimoniato anche da alcuni testi di canzoni,[80][81][82] oltre che autore e sceneggiatore di diversi libri a fumetti come Vita e morte del brigante Bobini detto "Gnicche" disegnato da Francesco Rubino, Lo sconosciuto con le illustrazioni di Magnus e Storie dallo spazio profondo con Bonvi, suo caro amico d'infanzia.

La vicenda raccontata nel libro creato con Rubino è quella vera di un brigante vissuto nella seconda metà dell'800 nelle campagne nei dintorni di Arezzo e nel Casentino, Federico Bobini, soprannominato Gnicche (questo nomignolo è anche entrato in un proverbio di quella zona, «Sei peggio di Gnicche»). La particolarità è che Guccini ha l'occasione di comporre alcune ottave in rima che nel fumetto vengono recitate da un contadino cantastorie, Giovanni Fantoni, per raccontare le vicende del brigante; frequenti le parole dialettali. Dal punto di vista del disegno, Rubino si ispira a fumettisti come Gianni De Luca (ritenuto da alcuni uno dei grandi innovatori del fumetto italiano), e in qualche vignetta ha anche modo di disegnare un cantastorie molto simile a Guccini. Il volume venne pubblicato nel dicembre del 1980 dalle edizioni LatoSide, e la copertina venne realizzata da Lele Luzzati; non è stato mai più ristampato.


Guccini e il cinema [modifica]
Un'immagine tratta dal film I giorni cantati, con Paolo Pietrangeli e Giovanna MariniL'attività di Guccini nel cinema, come attore o autore di colonne sonore, iniziò nel 1976 e non è mai stata particolarmente intensa.[83] La sua prima apparizione come attore fu in occasione del film Bologna. Fantasia, ma non troppo, per violino di Gianfranco Mingozzi del 1976. Si trattava di una puntata della serie televisiva Raccontare la città dedicata a Bologna, nella quale interpretava il poeta cantante Giulio Cesare Croce che, nella trama del film, rivive nei secoli le vicende della città, accompagnando questo percorso con canzoni tratte (in parte o integralmente) da testi originali di Croce. Altri interpreti del film furono Claudio Cassinelli e Piera Degli Esposti che interpretavano entrambi personaggi storici della città.

Come attore ha inoltre partecipato ai film I giorni cantati (1979, regia di Paolo Pietrangeli), la cui colonna sonora contiene la sua canzone Eskimo; Musica per vecchi animali (1989, regia di Umberto Angelucci e Stefano Benni, tratto dal romanzo di quest'ultimo Comici, spaventati guerrieri); Radiofreccia (1998, esordio registico del cantautore Luciano Ligabue); Ormai è fatta (1999, regia di Enzo Monteleone); Ti amo in tutte le lingue del mondo (2005) e Una moglie bellissima (2007), entrambi diretti da Leonardo Pieraccioni. Nella colonna sonora di Nero (1992, regia di Giancarlo Soldi) è contenuta la canzone Acque, mentre come musicista ha scritto la colonna sonora di Nenè (1977, regia di Salvatore Samperi).

 
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